Famiglie omogenitoriali: considerazioni introduttive

Alessandra Sala

Di fronte al moltiplicarsi delle forme di famiglia – ricomposte, monoparentali, multiculturali, omogenitoriali – chi lavora con compiti terapeutici con genitori e figli sente la necessità di rivalutare e ampliare le proprie conoscenze per adattare assetto e competenze agli specifici bisogni che ne caratterizzano il funzionamento.


Si tratta di tenere presente ad un tempo l’incidenza dei fattori culturali e di quelli psicologici, e quindi necessariamente di interrogarci sul nostro modello implicito di famiglia e sull’adeguatezza degli strumenti di cui disponiamo per incontrare le famiglie così dette “non tradizionali”, che non rispecchiano il classico triangolo padre, madre e figlio al centro della concettualizzazione psicoanalitica.


Si aprono infatti numerosi interrogativi sul vissuto degli adulti e dei bambini che sperimentano nuove e a volta complesse articolazioni familiari, sulle peculiarità delle relazioni all’interno di queste famiglie, sulle implicazioni e la particolarità delle vicende dello sviluppo dell’identità dei figli, come pure sul versante controtransferale degli psicoterapeuti che le incontrano.
Questo è in particolare vero per quanto riguarda le famiglie omoparentali, le famiglie in cui i genitori sono dello stesso sesso, con figli nati da precedenti relazioni eterosessuali o con la fecondazione assistita tramite donatore.


Siamo infatti chiamati, nel lavoro con queste famiglie, anche a confrontarci con la nostra visione dell’omosessualità, e sfidati a garantire ai nostri interlocutori, bambini, adolescenti, genitori, un assetto autenticamente psicoanalitico, cioè sufficientemente libero da stereotipi e ideologia, in modo da poter intrattenere un dialogo nel quale l’alterità sia riconosciuta e rispettata, grazie a quella funzione psicoanalitica della mente ” intesa come la capacità di entrare in relazione con l’altro e nello stesso tempo riflettere su di sé” (Di Chiara e al. 1985) che permette di non temere l’incontro con quelle che Nunziante Cesaro (2006) chiama “le nuove identità e le nuove geometrie della mente”.

Omogenitorialità:i termini della questione sociale.

Sono molti i padri e le madri omosessuali. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sarebbero circa centomila i figli cresciuti da genitori omosessuali, in Francia più del doppio, negli Stati Uniti si stima che i genitori omosessuali siano tra i 6 e i 10 milioni, e circa 14 milioni i loro figli, compresi quelli nati da relazioni eterosessuali (Lingiardi 2007). Molti hanno concepito i loro figli in precedenti relazioni o matrimoni eterosessuali, ma le nuove generazioni di gay e lesbiche hanno figli all’interno della loro relazione di coppia. Nei paesi in cui la legge lo consente possono adottare; le donne lesbiche possono ricorrere alla fecondazione, assistita o “artigianale”, con donatori anonimi o conosciuti e coinvolti in varia misura nella loro dinamica familiare.


In Italia la realtà delle famiglie omogenitoriali non è ancora compiutamente regolamentata a livello giuridico, con i problemi che ne conseguono. La nostra peraltro è una cultura impregnata di omofobia, e se va facendosi strada nella maggioranza dell’opinione pubblica la necessità del riconoscimento che legittima le coppie omosessuali, sono molto forti le resistenze che incontra l’idea che queste coppie possano essere adeguate anche dal punto di vista genitoriale. D’altra parte le recenti sentenze di alcuni Tribunali per i Minorenni che hanno decretato l’affidamento di bambini e adolescenti con gravi difficoltà familiari a coppie omosessuali dimostrano l’inarrestabile mutamento culturale e sociale in atto.


Nei fatti, prendere in considerazione questa eventualità implica la possibilità di riconoscere l’omosessualità come una variante naturale del comportamento sessuale umano, e considerare che non è l’orientamento sessuale di una persona a definire il suo grado di equilibrio ed integrazione psichica e la qualità del suo funzionamento mentale. Occorre poter riconoscere che la maturità, il livello di differenziazione e di stabilità di una relazione affettiva di coppia dipendono più dalle caratteristiche di personalità dei partner, dalla qualità del loro reciproco investimento e dalla specifica configurazione della loro “collusione di coppia” (Norsa Zavattini 1997) che dal loro orientamento sessuale, e che anche la qualità dell’investimento sui figli e la possibilità di rispondere adeguatamente ai loro bisogni non possa essere definita a partire dall’orientamento sessuale.


Le preoccupazioni che solitamente vengono espresse per lo sviluppo dei bambini all’interno delle famiglie omogenitoriali riguardano in particolare la possibilità che possano incontrare maggiori difficoltà rispetto ai figli delle coppie eterosessuali nello sviluppo dell’identità di genere e nella definizione dell’orientamento sessuale come nello sviluppo personale in generale, con maggiore vulnerabilità psichica e disturbi dell’adattamento e nelle relazioni sociali, anche in ragione della stigmatizzazione da parte del contesto sociale della loro condizione familiare.


I risultati delle maggioranza delle ricerche non confermano la realtà di questi rischi, mostrano piuttosto come i figli dei genitori omosessuali abbiano uno sviluppo equilibrato ed adattato e buone relazioni con coetanei ed adulti in percentuale sovrapponibile a quello dei figli di eterosessuali, e non presentino un’incidenza maggiore di omosessualità o problemi legati all’identità di genere (Vaughan 2008, Tasker 2010). Sembra quindi possibile sostenere che più dell’orientamento sessuale dei genitori sia la qualità delle relazioni all’interno della famiglia ad influenzare lo sviluppo e la stabilità affettiva e relazionale dei bambini, anche se l’orientamento sessuale dei genitori non appare completamente ininfluente per quanto riguarda il comportamento sessuale dei figli e la caratterizzazione del ruolo di genere. Come sottolineano Bottino e Danna (2005) le ricerche sottolineano più che altro differenze nei livelli di attività sessuale e nelle modalità di espressione dell’identità di genere, per cui queste autrici evidenziano come ne risulti che i figli dei genitori omosessuali si sentano meno definiti dai ruoli di genere e abbiano più probabilità di prendere in considerazione la sperimentazione di relazioni omosessuali, sebbene non abbiano più probabilità di identificarsi come lesbiche, gay o bisessuali. Questo sembra confermato anche dalle più attuali ricerche ( Biblarz e Stacey 2010, Tasker 2010): soprattutto negli Stati Uniti si moltiplicano gli studi sull’impatto del genere sessuale dei genitori sullo sviluppo dei figli, Tasker (2010) sottolinea a questo riguardo come appaia saggio procedere con cautela nelle conclusioni, poichè gli effetti potenzialmente evidenziabili possono essere contingenti alle differenti configurazioni familiari prese in esame e ai diversi contesti culturali, oltre che ai metodi di studio utilizzati.


Tutti gli autori sono concordi nel sottolineare come molti dei problemi che le famiglie omoparentali incontrano siano effetti secondari del pregiudizio. La stigmatizzazione che i bambini con due mamme o due papà e le loro famiglie possono subire è certamente un aspetto importante che influisce sul loro sviluppo e li può colpire sia direttamente, sia indirettamente, minando l’armonia e il buon funzionamento della famiglia. Il benessere psicologico personale del genitore omosessuale, che ha impatto immediato su quello del figlio, è comprensibilmente correlato al grado di dichiarabilità e di accettazione della propria identità nell’ambito della famiglia d’origine e dell’ambiente sociale e lavorativo, e, come per le famiglie monoparentali, al grado di sostegno familiare e sociale su cui può contare.


A questo riguardo sembra cruciale l’affermazione di Lingiardi (2007) su come una realtà sia più facilmente riconosciuta come normale quando è normata.

Questioni per la psicoanalisi.

L’omosessualità è sempre stato un argomento fortemente controverso all’interno della comunità psicoanalitica, che ha a lungo l’ha ritenuta una patologia. Solo nelle ultime decadi, influenzata dal cambiamento del clima culturale e dall’evidenza delle trasformazioni sociali in atto, che hanno portato tra l’altro alla cancellazione della categoria psicopatologica dal DSM IV, gli psicoanalisti hanno cominciato a rivedere le proprie teorie confrontando si sulle questioni dell’identità di genere e delle diverse sessualità. Si è così evidenziata l’esigenza di disporre di teorie dello sviluppo adeguate, che non prescindano da quelle considerazioni che dimostrano come orientamento sessuale e salute mentale siano dimensioni indipendenti della personalità, e la convinzione che il nostro interesse vada piuttosto rivolto al modo in cui le possibili declinazioni della sessualità si integrano nel contesto del funzionamento mentale complessivo della persona.


Attualmente nel panorama psicoanalitico coesistono vari, differenziati, orientamenti, tra cui numerosi autori, anche appartenenti a modelli teorici diversi, che si riconoscono nella convinzione che le omosessualità rappresentino configurazioni tra loro diversificate e costituiscano uno dei possibili esiti dello sviluppo sessuale umano. Viene in questo modo messa in evidenza l’esistenza di una “omosessualità costituzionale sana” ( Lingiardi Capozzi 2004).


Nella letteratura psicoanalitica anglofona e americana in particolare, negli ultimi quindici anni l’interesse della questione ha prodotto un significativo aumento di contributi psicoanalitici aperti ai temi della genitorialità omosessuale. In Francia, dove per altro la legislazione ha recentemente riconosciuto il matrimonio alle coppie omosessuali, Naziri e Feldelzon (2012) osservano come sono piuttosto i sociologi della famiglia e gli antropologi ad aver mostrato maggiore interesse per l’omogenitorialità, mentre gli psicoanalisti, pur coinvolti nel dibattito pubblico che ha accompagnato i cambiamenti legislativi, hanno mostrato posizioni ideologiche fortemente diversificate e contrastanti, anche in ragione dell’influenza delle teorie lacaniane sulle argomentazioni contrarie alla legittimazione della genitorialità omosessuale.


In una prospettiva clinica, la funzione di una riflessione su questi temi non sembra tanto quella di argomentare per sostenere una posizione favorevole o contraria alla genitorialità omosessuale, che esiste a prescindere dalle nostre convinzioni e rischia di ridursi ad una difesa di posizioni ideologiche di retroguardia. Poiché le famiglie con genitori dello stesso sesso esistono, l’aspetto su cui concentrare ricerca e approfondimento appare quello di comprenderne funzionamento, bisogni ed eventuali difficoltà, in modo da determinare i modi per supportarle.


In questi ultimi anni grazie agli studi sullo sviluppo dell’identità di genere è stata approfondita la comprensione dei processi intrapsichici ed interpersonali attraverso i quali i bambini figli di genitori eterosessuali sviluppano le loro identità sessuali. Un ulteriore importante ampliamento delle nostre conoscenze può prodursi a condizione di poter contare su un’attitudine orientata ad una autentica curiosità scientifica, non guidata da motivazioni ideologiche, per mettere a fuoco le questioni sollecitate da una coppia di genitori dello stesso sesso in bambini che pure dispongono di modelli di riferimento di genere sessuale diversificati, nelle famiglie allargate e a livello sociale.


Non continuare a presumere che i bambini crescano esclusivamente in famiglie identiche alla generica configurazione padre-madre-bambino sulla quale Freud fondò la sua originale teoria della sessualità permette di prestare una precisa attenzione anche a se e in che modo lo sviluppo dei bambini può essere influenzato dal genere e dall’orientamento sessuale dei loro genitori, se esistono e come si configurano specifiche dinamiche di sviluppo all’interno delle loro famiglie e quali fattori le influenzano.


Gli studi che si sviluppano in questa direzione affrontano quello che può essere definito il “laboratorio sociale” costituito dalle famiglie omogenitoriali (Naziri e Feldelzon 2012), nel tentativo di comprendere, oltre gli aspetti citati, come siano organizzate le relazioni familiari, come incidano sulla genitorialità l’omofobia internalizzata e la complessità del riconoscimento legale della co-genitorialità, come siano distribuiti i ruoli genitoriali, quali siano le implicazioni della procreazione assistita e che impatto tutto ciò abbia sul funzionamento psichico e il sentimento di identità delle persone coinvolte.

Edipo e omogenitorialità


In un interessante lavoro, Heineman (2004) si domanda come possa essere configurata nelle famiglie omoparentali una questione cruciale nella prospettiva psicoanalitica : quale Edipo sia possibile per i bambini delle coppie omosessuali, “nuove variazioni su un tema antico o una nuova storia di triangolazione?”. Heineman argomenta che riflettendo sull’Edipo abbiamo imparato come i genitori della realtà quotidiana di un bambino esistano come “entità interrelate ma distinte nel mondo interno ed esterno del bambino” e pone quindi la questione “se e in che termini la costruzione inconscia di un bambino che i genitori equivalgano a madre e padre sia alterata dal genere sessuale dei genitori della vita quotidiana” (ibidem, pag. 101).


Per quanto l’adozione, le tecniche di inseminazione assistita da donatore, la maternità surrogata consentano di avere figli “senza rapporto sessuale”, non è possibile evitare la realtà della differenza tra i sessi e il ruolo che questo ha nella riproduzione e quindi la sua incidenza sul tema della propria origine, così strettamente interrelato a quello dell’identità.


Il quadro della complessità implicita nella genitorialità omosessuale comprende per i figli delle coppie lesbiche la confrontazione con l’esistenza di un donatore di seme più o meno anonimo e per le coppie gay di una madre naturale, per quanto “surrogata”. Vaughan (2007) sottolinea che per i figli di madri lesbiche, la maggior parte dei quali saranno adulti eterosessuali, una sorta di proto-relazione eterosessuale della loro mamma lesbica può essere costruita a partire dalle informazioni sul donatore anonimo. Si tratta di un’area ricca di sollecitazioni per le fantasie sia dei genitori che dei figli, e d’altra parte la presenza di un donatore conosciuto, amico o parente, omosessuale o gay, solleva molte ulteriori questioni, diverse ma non meno complesse.


E’ dunque possibile, come sottolinea Kleinerman (2007) che siano differenti alcune delle esperienze che i figli delle coppie omosessuali devono processare per arrivare ad integrare la consapevolezza del proprio orientamento sessuale nel corso della costruzione della propria identità differenziata, individuata e separata da quella dei genitori. Il travaglio psichico che l’autrice descrive in una paziente adolescente figlia di una coppia lesbica, nel passaggio al riconoscimento della propria eterosessualità, con la paura di perdere il supporto, la stima e anche l’amore delle sue due madri, richiama le profonde ansietà dei giovani che si riconoscono omosessuali di fronte alla necessità di dichiararsi alle proprie famiglie eterosessuali.

E’ un tema sul quale appare di estremo interesse continuare ad interrogarsi.


Per delineare alcuni ulteriori aspetti in gioco, occorre prendere in considerazione anche l’evoluzione che il concetto di “Edipo” ha avuto nel corso del tempo. In primo piano sono le nuove prospettive aperte da Bion, che nella sua rilettura ha messo in rilievo la connessione tra Edipo e impulso a conoscere, evidenziando come l’uso che Freud ha fatto del mito di Edipo ha illuminato qualcosa di più che la natura degli aspetti sessuali della personalità umana (Bion,1963). In prospettiva bioniana l’ormai classico lavoro di Britton (1989) ha indicato come fondamentale per lo sviluppo psichico la relazione che il bambino instaura non solo nei confronti del padre e della madre, ma soprattutto nei confronti dei suoi genitori in quanto coppia. Questa prospettiva sottolinea come la capacità di tollerare la confrontazione con il legame speciale che unisce i suoi genitori offra al bambino l’esperienza di una relazione per lui estremamente significativa dalla quale è escluso, ma che può osservare. Secondo Britton, è questa posizione terza dalla quale è possibile osservare le relazioni a permettere lo sviluppo e l’integrazione della capacità riflessiva e autoriflessiva, nella misura in cui la chiusura del triangolo edipico ad opera del riconoscimento del legame che unisce tra loro i genitori delimita il mondo interno, promuove la capacità di tollerare la separatezza, di contenere le emozioni, di riconoscere l’esistenza di diversi tipi di relazione e di raggiungere l’equilibrio psicologico e relazionale. Perchè questa confrontazione avvenga non appare necessario che la funzione di terzo rispetto ad una coppia debba imprescindibilmente essere connessa all’appartenenza ad un genere sessuale differenziato. Gli autori che si sono occupati di clinica delle relazioni genitori-bambino sottolineano come il fondamentale “ruolo del terzo” sia svolto da ciascuno dei genitori nei confronti della relazione troppo esclusiva dell’altro genitore con il bambino (Cramer, palacio Espasa 1993), e come ad esempio questa funzione possa essere utilmente svolta da chiunque assuma il ruolo di terzo significativo anche quando il genitore è unico.


Di particolare interesse ci sembra anche il discorso che De Simone (2007) propone a partire dal riferimento bioniano di “preconcezione edipica”, quando ne sottolinea l’esistenza traducibile nei termini di competenza ad assegnare un significato agli oggetti dell’esperienza. “Se la preconcezione del seno vuol dire che il lattante è in attesa di un oggetto che lo soddisfi, preconcezione edipica vuol dire che il lattante sa che esiste qualcosa d’altro che non è la madre e con il quale la madre stessa è in rapporto. Questa concettualizzazione permette, mi pare, di andare oltre l’annosa questione se il complesso di Edipo sia presente in tutte le culture, perché qualunque sia la configurazione familiare, il neonato avrà un oggetto o più oggetti accudenti e altri in rapporto con i primi, in una situazione all’interno della quale proverà sentimenti di esclusione” (pag. 67).


De Simone sostiene che valga la pena di continuare a parlare della strutturazione dei legami familiari in termini “edipici” “privilegiando una lettura in chiave di conflitto per la conoscenza e per l’identità” (ibidem, pag. 71).
Si potrebbe osservare che questo verosimilmente valga anche a prescindere dal genere e dall’orientamento sessuale dei genitori.


Heineman (2004) ci ricorda come per ogni individuo, in qualsiasi famiglia un bambino si trovi a nascere, inevitabile è ad un certo punto cercare la risposta alle domande sulla sua origine, sulla sua identità e su quella delle persone da cui è nato, e questo a prescindere che i suoi processi identificatori procedano armoniosi o problematici,
Nel riflettere sulle implicazioni dell’omogenitorialità, il punto di partenza non potrà non essere l’assunzione che anche i figli delle coppie omosessuali si confrontano necessariamente all’interno di una relazione triadica con la differenza tra le generazioni, con l’intuizione della sessualità adulta, con la similarità e con la differenza tra i sessi, con il vissuto di inclusione e quello di esclusione. Oggetto di indagine dunque ancora una volta saranno le vicende della triangolazione, quelle “varie configuarzioni possibili del triangolo primario” che attengono alla “capacità di farsi nella propria mente un’idea del tessuto di relazioni in cui si è inseriti” (Zavattini, 2000). Quello che Zavattini ha chiamato il ‘senso interno della relazionalità’,(ibidem, pag.XV)e che possiamo ritenere il fondamento del buon funzionamento del pensiero.


A fornire risposte alla domanda su come il genere e l’orientamento sessuale dei genitori influenzi questo processo, saranno presumibilmente l’ulteriore osservazione, la ricerca, lo studio clinico delle vicende dei figli di genitori omosessuali, al riparo dalle influenze e dalle preoccupazioni dell’ideologia, che potranno forse mostrarci, come suggerisce Heinemann (2004), come questi bambini abbiano bisogno di sviluppare diverse strategie psicologiche, a livello conscio o inconscio, per trovare la loro soluzione alle sfide dell’Edipo, e questo potrà essere molto utile non solo per comprendere le dinamiche evolutive ed il funzionamento sano o disturbato all’interno delle loro famiglie, ma più in generale lo sviluppo psicosessuale e relazionale di tutti i bambini.

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