Psicoterapia Psicoanalitica dell’età Evolutiva, Clinica e Formazione

a cura di Alessandra Sala e Egidia Albertini
Edizioni Mimesis

Prefazione

Questo libro parla di quei particolarissimi incontri, con un altro e con se stessi attraverso l’altro, che rendono possibile ciò che chiamiamo psicoterapia, come ricordano le parole di un bambino alla sua dottoressa:

“All’inizio non sapevo che eri proprio tu”.

Si rivolge a chi ha intrapreso il percorso di conoscenza e trasformazione di sé, oltre che di acquisizione di un sapere teorico e tecnico, che fonda e accompagna il lavoro psicoterapeutico nel campo dell’età evolutiva ad orientamento psicoanalitico.

Ci è parso interessante presentare insieme la clinica e la formazione, gli strumenti della crescita di paziente e terapeuta, fondata sulla comprensione profonda che nasce dall’intreccio di due soggettività che si “mettono in gioco” trasformandosi vicendevolmente. Alcuni lavori riguardano specificamente la dimensione relazionale, la conoscenza delle interazioni primarie, che si è enormemente estesa a partire dalla ricerca evolutiva e dall’osservazione psicoanalitica, sottolineando come lo sviluppo richieda un apprendimento reciproco per arrivare a stadi di integrazione della mente che non possono essere raggiunti da soli.

Il riferimento è ai contributi sulle interazioni tra madre e bambino nell’Infant Observation, sulla relazione paziente-terapeuta nelle psicoterapie e nelle consultazioni, sulla cura della genitorialità.

In altri capitoli l’accento è posto sulla dimensione intrapsichica, sullo sviluppo del Sé, somatico e psichico, sulla patologia, sul modo in cui le differenze culturali plasmano il funzionamento degli individui.

Il libro nasce nel vivo dell’esperienza di psicoanalisti e psicoterapeuti uniti dal comune impegno formativo nel Corso di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva della SPP di Milano, in qualità di docenti e allievi.

La formazione a diventare psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico, ed ad esserlo nel setting, ha nella nostra impostazione una forte impronta esperienziale. Il filosofo Hans G. Gadamer (Gadamer H.G. 1995) ha fatto notare, riprendendo una osservazione suggestiva di Heidegger, che la nozione di essere, quale emerge dalla filosofia greca, contribuisce a dare forma anche oggi al modo in cui definiamo “l’essere” della esperienza psichica, cioè “chi siamo”, dal punto di vista umano e professionale.

In questa lettura il concetto di essere non nasce come un’idea intellettuale, psicologica o spirituale: il termine greco ousìa (che sta per essere) rimanda infatti alla nozione di “podere del contadino”, ciò che il contadino coltiva e cura, la terra dove lavora e abita, in una parola “vive”, svolge la sua “esperienza” di vita dal punto di vista psichico, fisico, relazionale: è a queste radici che abbiamo cercato di ispirare ciò che insegnamo (Albertini E. Cavallari G. 2007).

Proviene da questi concetti una visione della didattica in cui i contenuti e l’organizzazione sono plasmati nell’incontro costruttivo con gli allievi, improntata alla riflessione critica condivisa e al dialogo.

Emerge nei lavori che compongono il volume una riflessione specifica per l’apprendimento nei gruppi, così che possano funzionare come “gruppi di lavoro”, seguendo il pensiero di Bion: si devono per questo elaborare dipendenze, idealizzazioni e compiacenze che Kernberg (1996) ha indicato come alcuni dei mali più gravi della formazione alla psicoterapia psicoanalitica, necessariamente lunga e impegnativa sul piano personale, nella quale la relazione, con i formatori e con l’Istituzione, è un elemento costitutivo imprescindibile.

I docenti devono avere vivo il “desiderio di imparare insegnando” (Kernberg O.F. 2003). Da queste basi è possibile sostenere una progressiva assunzione di responsabilità di chi è allievo, che proceda nell’ampliamento e nell’approfondimento continuo delle proprie competenze.

Da questi presupposti si sono sviluppati i contributi presenti nel volume, in buon numero scritti da allievi ed ex allievi che, nelle consultazioni e nelle psicoterapie da loro condotte, con costante supervisione, hanno prodotto riflessioni interessanti per le questioni di psicoterapia psicoanalitica che affrontano.

Abbiamo proposto quei lavori che hanno saputo comunicare un buon accordo fra individualità ed appartenenza ad un gruppo: l’individualità esprime con un proprio “idioma” (Bollas C. 1991), inteso come “nucleo unico di ciascuno … l’essenza che definisce ciascuna persona”, il modo di fare psicoterapia del singolo terapeuta; l’appartenenza ad un gruppo e alla comunità psicoanalitica più ampia, con le sue regole tecniche condivise, comporta la ricerca di una sintonizzazione più che una soggezione adesiva.

Negli scambi, spesso non verbali, che segnano i momenti di svolta delle psicoterapie descritte nel testo, riecheggia l’insegnamento di Gaetano Benedetti.

Il lavoro clinico con i bambini, nelle consultazioni e nelle psicoterapie, richiede allo psicoterapeuta di mettersi in gioco come partner parteE. cipe e coinvolto.

L’impostazione che Benedetti dà alla sua psicoterapia, specie con pazienti psicotici, sottolinea il ruolo delle “inconsce comunicazioni proiettive-introiettive con il paziente, che consentono di percepirne le comunicazioni come autenticamente significative: il riferimento è al concetto di contenimento di Bion; le vie di tali comunicazioni sono rapide, efficaci e altamente motivanti” (Pestalozzi J. 2003).

Un esempio tratto dalla psicoterapia di un adolescente psicotico, condotta da una allieva di Benedetti seguendo il suo metodo, esemplifica questo concetto:

“…Prima di entrare per la prima volta nella stanza il paziente mi aveva domandato se poteva portare con sé il suo zaino, ed io mi ero automaticamente ritrovata a prendere a mia volta con me il mio zaino dal corridoio d’ingresso…. Ci si può domandare, quale era il retroterra a livello di controtransfert di questa mia risposta totalmente inconscia? Ricordando bene l’atmosfera dei primi minuti, credo che la mia risposta fosse duplice: identificandomi con una parte sana di questo adolescente è come se avessi detto: “Siamo qui, partiamo per il nostro viaggio, tu con il tuo pesante bagaglio ed io con il mio più leggero, spero e credo che andremo da qualche parte”… Ad un livello più profondo, la mia reazione inconscia mi richiamava il gesto regressivo delle madri, con cui “istintivamente” imitano i gesti facciali dei loro bambini piccoli, ovunque nel mondo, come una delle molte strade per legare e regolare lo stato affettivo del bambino” (Pestalozzi J. 2003).

Agli psicoterapeuti infantili è richiesto di essere permeabili alle comunicazioni, spesso espresse nel gioco, dei piccoli pazienti, di “lasciarsi usare”, nel senso indicato da Winnicott (Winnicott D.W. 1971); al contempo devono elaborare in modo sincrono, in tempi accettabili per l’esperienza del bambino, risposte terapeutiche a volte verbali, a volte di gioco e nel gioco, che siano riparative “ancora e ancora” della funzione alfa, della capacità di pensare; questo richiede, come nell’esempio indicato, una buona dose di creatività, e capacità di identificarsi profondamente con il bambino, ma anche di sciogliere i nodi problematici della propria personalità perché queste risposte da “inconscio a inconscio” non corrispondano ad “agiti” non terapeutici.

Peraltro anche Daniel Stern ed il Boston Group, nel loro saggio sul “qualcosa in più dell’interpretazione” (Stern D.N. et al. 1998), ci ricordano che “le basi della relazione implicita condivisa, nella quale avvengono i cambiamenti in psicoterapia, si trovano nel processo originario della comunicazione affettiva, radicata nelle primissime relazioni: la comunicazione affettiva e l’intersoggettività sono presenti praticamente sin dall’inizio della vita”.

Momenti di incontro particolarmente sintoni fra paziente e psi- coterapeuta sono in grado di modificare questa relazionalità di fondo, a livello intrapsichico ed interpersonale, trasformando il modo di “essere con” gli altri e di considerare se stessi.

Il motore, ma anche il potenziale ostacolo al cambiamento, hanno radici antiche, per l’uno e l’altro membro della coppia terapeutica al lavoro.

Si tratta di due cornici diverse del discorso psicoanalitico, quello della psicoanalisi di Bion e, in certa misura, di Winnicott, e quello dell’Infant Research; l’interrogativo riguarda la possibilità che vi sia un dialogo fra il bambino clinico della psicoanalisi ed il bambino osservato delle ricerche recenti sulla psicologia dello sviluppo.

Così risponde Stern:

“Ciascun modo di vedere il bambino ha caratteristiche che all’altro mancano.

Il bambino osservato presenta capacità che possono essere facilmente dimostrate; il bambino clinico contribuisce con alcune esperienze soggettive che sono caratteristiche comuni e basilari della vita sociale.

La congiunzione parziale di questi due bambini è essenziale per tre motivi. Primo, deve esserci un modo in cui gli avvenimenti reali, e cioè gli eventi osservabili (“la mamma ha fatto questo e quello…”) si sono trasformati nelle esperienze soggettive che i clinici chiamano intrapsichiche (“sentivo che mia madre era così e così”).

Sta qui il punto di incontro del bambino osservato e del bambino clinico. Se è vero che le due prospettive non si sovrappongono, è anche vero che in alcuni punti esse si toccano, e si viene a creare un’interfaccia.

Non si potrà mai comprendere l’origine della psicopatologia senza tenere conto di questa interfaccia.

Secondo, il terapeuta, che maturi più familiarità con il bambino osservato, può aiutare i pazienti a produrre narrazioni più appropriate.

Terzo, il ricercatore sperimentale, che maturi familiarità con il bambino clinico, può essere indotto a immaginare nuove direzioni per la sua ricerca (Stern D.N. 1985)”.

Condividiamo la necessità del dialogo fra bambino clinico e bambino osservato.

Tale dialogo rimanda anche ad un’altra polarità, fra lo sviluppo del Sé e quello delle relazioni:

“…La dimensione intrapsichica è importante tanto quanto la dimensione interpersonale, e proprio nel momento in cui si valorizza il ruolo delle relazioni nel forgiare l’esperienza umana fin dalle prime ore di vita si deve, in parallelo, valorizzare la dimensione intrapsichica, cioè il rapporto soggettivo dell’individuo con se stesso, con il suo inconscio (senza il quale non esisterebbero teoria e prassi psicoanalitica), con i suoi oggetti “interni”.

Se il funzionamento mentale avviene all’interno di una rete dove emozioni, rappresentazioni, affetti, parole, immagini, sentimenti sono continuamente condivisi, ciò nondimeno la tonalità, la sfumatura, il colore di ognuno di essi possiede anche la cifra irriducibile dell’individualità che li esperisce, ed ogni attenzione dedicata alla trama della rete ed alle comunicazioni che si muovono su tale intreccio non può prescindere da una analoga attenzione dedicata ai “nodi”, cioè ai soggetti dotati di un proprio statuto ontologico (Cavallari G. Albertini E. 2006)”.

Consideriamo anche il lavoro appassionato che in questo volume evidenzia il ruolo della pulsionalità e del piacere, nella strutturazione del soggetto e delle sue relazioni:

“Pur riconoscendo che la mutazione antropologica della visione del bambino e di quanto sia agitato da passioni intense è avvenuta proprio grazie all’opus freudiano, la sessualità infantile è stata anche banalizzata e ridotta a vuoto formulario.

Un dubbio che è legittimo porsi, allora, è se la sessualità infantile continui a essere, nonostante tutto, scomoda e imbarazzante, tanto da far risultare molto meno compromettente mettere al centro della scena esclusivamente le funzioni trofiche e contenitive.

E, al contempo, il sessuale non trova collocazione soddisfacente nelle teorie dell’attaccamento, pensate proprio come antagonistiche, piuttosto che sincrone e complementari, poiché non c’è effettivamente una relazione di attaccamento senza che contenga anche un aspetto di seduzione alla vita (Antinucci G. 2013)”.

Infine, il volume rispecchia una peculiarità della tradizione psicoanalitica specificamente italiana, che a sua volta si radica nel Genius Loci del nostro paese, dove per secoli si è parlata un’unica lingua su di un territorio diviso in una infinità di realtà politiche e sociali fra loro indipendenti e non raramente conflittuali.

Tale articolazione, limite e ricchezza della storia italiana, si è riproposta nella vicenda della psicoanalisi del nostro paese, che non ha avuto un Freud, una Klein, un Winnicott, un Lacan e nemmeno un Kernberg o un Kohut ma una pluralità di voci che, pur non evocando il peso che la psicoanalisi ha avuto nel tessuto culturale di Parigi, Londra o New York, fanno emergere quella sottigliezza intellettuale e quella capacità di scendere nel “profondo” che si ritrova nelle architetture antiche, medievali e rinascimentali della terra dove il “sì suona”.

Bibliografia

ALBERTINI E. CAVALLARI G. (2007).
Intervento alla tavola rotonda con Gallese V., Freni S., Maggioni D. nella giornata di studio ASP: “L’intersoggettività umana: dai neuroni specchio alla stanza d’analisi”, Milano, 3 marzo 2007.

ANTINUCCI G. (2013), in corso di stampa in questo volume. BOLLAS C. (1991).
Forze del destino. Borla, Roma, p. 16.

CAVALLARI G., ALBERTINI E. (2006).
“La soggettività come fattore emergente nel corso dello sviluppo del Sé e nel processo terapeutico”. Setting, 22/2006, FrancoAngeli, Milano.

GADAMER H.G. (1995).
Ermeneutica. Uno sguardo retrospettivo. Bompiani, Milano 2006, pp. 36-37.

KERNBERG O.F. (1996).
Thirty methods to destroy the creativity of psychoanalytic candidates. Int J Psychoan 77, 5: 1031-1040

KERNBERG O.F. (2003).
Raccomandazioni per alcune innovazioni urgenti nella formazione psicoanalitica. Gli Argonauti, 97: 85-95.

PESTALOZZI J. (2003).
The symbolic and concrete: Psychotic adolescents in psychoanalytic psychotherapy.
Int J Psychoan, 84:733-753

SALA A., ALBERTINI E. (2013).
Psicoterapia psicoanalitica dell’età evolutiva: clinica e formazione. Mimesis, Milano.

STERN D.N. (1985).
Il mondo interpersonale del bambino. Bollati Boringhieri, Torino 1987.

STERN D.N., SANDER L., NAHUM J, HARRISON A., LYONS-RUTH K., MORGAN A., TRONICK E. (1998).
Non interpretative mechanisms in psychoanalytic therapy. The “something more” than interpretation.
Int J Psychoan, 79: 908-921

WINNICOTT D.W. (1971).
Gioco e realtà. Armando Armando, Roma 1974.