Il contributo umano e scientifico di Marina Saviotti all’Istituto SPP

A cura di Marcello Panero

In data 14 Settembre 2023 è mancata Marina Saviotti. 
E’ stata una persona e una professionista con un ruolo centrale nella costruzione della nostra Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica. 
Una persona di grande onestà umana e intellettuale, di cui tutti ricordiamo il rigore e soprattutto la grande generosità. Marina ha sempre messo l’impegno terapeutico e formativo ed anche l’impegno sociale al primo posto, con molto coraggio e a volte anche a discapito delle proprie esigenze e dei propri progetti personali. Molti la riconoscevano nella figura del “burbero benefico”, per la sua schiettezza e anche il vigore con cui difendeva i valori della professione di psicoterapeuta e della Scuola di Psicoterapia. 
Marina Saviotti, nata ad Alessandria nel 1925, dopo la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1950, e dopo aver lavorato per vent’anni come medico e svolto attività di ricerca biomedica, in Italia e all’estero (lavorò per un certo tempo in Messico), si dedicò allo studio e alla pratica della Psicoterapia e della Psicoanalisi. 
Nel 1965 la sua formazione avvenne presso il Centro Studi di Psicologia Clinica di Piazza S. Ambrogio a Milano, centro diretto da Pierfrancesco Galli, che per la prima volta proponeva in Italia una Psicoanalisi aperta alla visione relazionale e a ciò che proveniva dalle elaborazioni sia americane (per es. H.S. Sullivan, F. Fromm Reichmann, S. Mitchell, H. Kohut etc.) che europee (p. es. M. Balint, C. Muller, J. Cremerius e G. Benedetti, F. Morghenthaler, P. Parin) in un’ottica critica rispetto sia alla psichiatria tradizionale che alle allora prevalenti chiusure corporative della Psicoanalisi Italiana. 
Nel 1967 e ’68 lavorò all’Ospedale Psichiatrico di Sondrio, con un gruppo di psicoterapeuti e psicoanalisti tra cui spiccava la figura di Gaetano Benedetti, che divenne poi il suo analista. Un gruppo che ebbe una grande influenza sullo sviluppo della psicoterapia in Italia e che diede un grande impulso alla terapia psicodinamica dei pazienti gravi, soprattutto psicotici, promuovendo trattamenti psicoterapeutici in ambito ospedaliero, con una grande attenzione al ruolo dell’équipe di cura. Buona parte di questi terapeuti fondò nel 1967 la rivista “Psicoterapia e Scienze Umane”. 
Nel marzo del 1971 ha fondato insieme ad altri colleghi il “Centro Studi di Psicoterapia e Psicologia Clinica di Via Alberto da Giussano 11”, che poi divenne la “Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica ” di Via Guido d’Arezzo, e da cui nacque, con la legge che istituiva le Scuola di Psicoterapia” l’attuale “SPP -Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica”, in cui ebbe ruoli dirigenti e didattici fino a pochi anni fa. 
Nel 1983, a conferma dell’ampiezza dei suoi impegni e interessi, soprattutto nel trattamento di pazienti gravi, passò un anno ad occuparsi come psicoterapeuta di pazienti tossicodipendenti in una struttura sita a  New York. 
Altro tema su cui aveva un grande interesse era la terapia dei pazienti depressi. Di grande spessore il suo capitolo “Approccio terapeutico al paziente depressivo” nel volume “Paziente e Analista nella Terapia delle Psicosi” pubblicato nella collana diretta da G. Benedetti e P.F. Galli, per Feltrinelli nel 1979. 
Ricordiamo tutti la sua passione e il suo rigore nella organizzazione della Scuola e nell’insegnamento nei corsi di Psicoterapia dell’Adulto ed anche nelle attività della ASP – Associazione di Studi Psicoanalitici (che raccoglieva soprattutto ex-allievi della SPP). Chi ha fatto con lei supervisioni individuali (che teneva soprattutto a Torino, dove aveva il suo studio professionale condiviso con altri docenti della scuola) ha ancora in mente la sua apertura mentale insieme all’attenzione e alla cura per il mantenimento del setting terapeutico e soprattutto il senso di vicinanza e comprensione delle difficoltà sempre presenti nel rapporto terapeutico, che trasmetteva agli allievi. 
Da alcuni anni Marina Saviotti, a causa dell’età molto avanzata, non partecipava più alle attività della Scuola, ma la sua morte ci lascia un gran senso di perdita. Con lei abbiamo perso uno dei “fondatori” della nostra istituzione e del nostro modo di lavorare.

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