La Scuola SPP Psicoterapia Psicoanalitica Individuale dell’Adulto

Ripropongo agli psicologi, alle psicologhe che vogliono conoscere la Scuola SPP Ad di Milano un
articolo scritto nel 2009 dal Direttore Storico, Guido Medri, deceduto a Novembre di quest’anno.
In questo articolo si respira il clima che caratterizza la SPP, i temi derivano da uno scambio
continuo tra noi docenti e gli allievi, e tra me e Guido Medri da cui ho ereditato il ruolo di Direttore
Scientifico.
Rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento vogliate approfondire da questo articolo, e spero
che queste righe, scritte da un Maestro, siano in grado di farvi ascoltare la musica psicoanalitica che
tentiamo di suonare in SPP.

Simone Maschietto


La storia della SPP a cura di Guido Medri, fondatore storico

Parlo del mio lavoro in quanto una parte abbastanza cospicua delle mie attività rientra nel campo
della formazione. Non solo porto la mia esperienza nei gruppi, ma anche ne ricavo molte
informazioni ed insegnamenti. Se rimanessi rintanato nel mio studio la mia casistica si limiterebbe
ai pochi pt. Che lo frequentano e non avrei alcun modo di confrontarmi con altre patologie. Ad es
l’unico caso di pedofilia che conosco l’ho seguito in supervisione. Ora sto seguendo il caso di un pt.
che aderisce ad una setta satanica. Ci si confronta poi con modalità relazionali del tutto inedite, vedi
il caso di un omosessuale che stabilisce una curiosa alleanza con la sua terapeuta. Rimango sempre
stupito di come personalità naturalmente terapeutiche possano affrontare problemi che
richiederebbero anni di esperienza ed anche questo diventa un’acquisizione.
La SPP è stata fondata nel 94. Conta ormai 24 anni di vita ed ha specializzato centinaia di allievi. Si
tratta di un’istituzione che vista dal di dentro con una lente di ingrandimento è piena di magagne
(“perché no?”) e passibile di grandi miglioramenti come d’altra parte è ovvio che sia , ma che nel
suo insieme è saldissima. Dai primi corsi siamo arrivati alle due sedi di Milano e Torino. Contiamo
ormai circa 250 allievi. Ogni anno abbiamo un numero di domande che spesso supera la nostra
ricettività. Questo vuol dire 17 A. per il corso età evolutiva di Milano , 17 per l’Evolutiva di Torino,
17 per il corso Adulti di Milano, 17 per il corso adulti di Torino. Cito per esteso questi dati perché
si tratta di numeri impressionanti. Non possiamo non chiederci come mai questo avvenga. La scuola
è sicuramente costosa e impegnativa, è richiesta un’analisi personale, gli sbocchi lavorativi sono
ridottissimi, gia a livello universitario si sconsiglia l’approccio clinico e in particolare quello a
impronta dinamica(Cose che tutti sappiamo, spesso i professori universitari lo dicono a lezione e
parlano dell’analisi come di una barzelletta). Io mi occupo da sempre delle selezioni del Corso
Adulti e ho abbastanza il polso della situazione. La gente viene da noi soprattutto tramite il passa
parola, cioè sono quelli che sono gia da noi o che ci sono stati che ci fanno propaganda, fatto questo
oltremodo significativo e che non smette mai di inorgoglirmi e per il nostro programma molto
clinico, tutto centrato sulla prassi terapeutica. Quello che conta però e che ci tengo a dirvi è la
motivazione che li spinge. Gli Allievi vengono perché sono affascinati, sedotti dalla psicoanalisi. E’
mia regola ad ogni colloquio sottolineare le difficoltà della scelta, addirittura sconsigliarla. La
risposta è sempre la stessa, mi piace mi interessa, lo so benissimo che è difficile , ma ci voglio
provare lo stesso, esattamente come ho fatto Io 40 anni fa. Quante volte poi mi sono chiesto perché
non ho fatto il medico, ad es l’otorino, ho un amico che guadagna più di un milione di euro. Direi
che questa è la migliore risposta a quanti di noi tendono a pensare in negativo, a vedere la parte
vuota della bottiglia. Capita spesso anche a me, e l’entusiasmo di questi giovani mi rivitalizza e mi
ridà la voglia di continuare. Una disciplina che interessa in questa maniera, che esercita ancora tanta
attrazione non può essere in crisi. Quest’anno in particolare il livello degli allievi aspiranti è molto
alto. Ogni anno cambia, la nidiata di adesso è davvero promettente.
Per quel che riguarda i docenti direi che sono tutti a loro agio, non vengono pagati molto, ma è
gratificante sperimentarsi come formatori e fare parte di un’istituzione. Il rapporto con gli allievi è
buono, si instaura uno scambio reciproco che comporta una crescita da entrambi i lati. Anche se non
mancano le difficoltà.. A volte ad es. mi sembra che non considerino abbastanza l’importanza e il
valore di quello che offriamo e che da parte loro ci sia una continua richiesta mai soddisfatta. Altre
volte al contrario mi pare di chiedere troppo come se li volessi coinvolgere in un lavoro troppo
impegnativo, più attento alle mie esigenze che non alle loro. Soprattutto mi preoccupa che non
abbiano lavoro. Non entro nei dettagli. Per quanto riguarda la formazione, proprio a volo d’uccello,
mi sembra di individuare quale obiettivo principale quello di incoraggiare gli allievi ad avere un
atteggiamento più professionale , più oggettivante, così che, oltre ad impegnarsi in prima persona
nella relazione, facciano diagnosi(naturalmente in chiave psicodinamica e di analizzabilità) e quindi
si responsabilizzino a dare delle interpretazioni. Ricordo le mie prime supervisioni con Muraro,
quando mi diceva che dovevo smetterla di fare il neurologo, perché non si trattava di fare diagnosi ,
ma di curare una persona. Insomma dovevo essere più psicologo e meno medico. Ecco, i nostri A.
dovrebbero seguire il percorso opposto. Non dimentichiamo che sono psicologi , senza esperienza
clinica, per la più parte molto giovani e di sesso femminile.
Ma qual è il giudizio su un piano più ampio? Che posizione occupiamo nel contesto generale?, la
formazione che forniamo è adeguata alle nuove richieste di aiuto, facciamo un servizio alla nostra
disciplina, che cosa significa fare psicoterapia psicoanalitica?
All’inizio il confronto, per quanto atteneva a me, non so bene cosa pensassero gli altri, era con la
SPI, con la Psicoanalisi come istituzione. Nella mia relazione a Montebello della Battaglia
dedicavo a questo confronto molte pagine. Rilevavo i vantaggi della dimensione psicoterapeutica.
Potevamo chiedere ai nostri allievi che facessero un’analisi, ma senza imporre che si trattasse di una
analisi didattica giunta ad un buon livello (quasi al termine), la selezione degli allievi era meno
rigida, l’arco dei pt che potevano trattare e, quindi supervisionare era infinitamente più ampia. Davo
però forte risalto al rischio di un eclettismo confusivo. A distanza di anni il vertice da cui parte la
mia osservazione è abbastanza cambiato. Siamo diversi, e ci siamo confermati e ci confermiamo in
questa diversità anno dopo anno. D’altro canto la SPI porta avanti una politica che sembra avulsa
dalla realtà in cui viviamo e si presenta come un’istituzione anacronistica. Ho appena letto un
articolo su uno degli ultimi numeri dell’International di una psicoanalista di Roma che batte proprio
su questo tasto, in particolare sull’obbligo che il pt. da portare in supervisione didattica faccia
quattro sedute la settimana. Sono rimasto colpito dal tono dell’articolo, irritato, sarcastico, pieno dl
acrimonia. Un pt. del genere non c’è più, si tratta di una razza ormai estinta , se poi lo si trova non
ci si può permettere che se ne vada e via di questo passo. Il fatto poi che dà una nota di comicità
sgradevole e di ipocrisia è che neppure il supervisore didatta ha dei pt. a quattro sedute sul lettino, è
risaputo. Questa è una critica che non riguarda i temi che noi, che abbiamo lavorato con Cremerius
già ben conosciamo: il problema dell’analisi didattica, l’autoritarismo, la mancanza di creatività,
non mi dilungo , in tanti ne hanno parlato, Kemberg in testa, ma che va molto più a fondo perché
insiste su un aspetto pratico, concreto. Che senso ha imporre un pt. che non si trova? E’ troppo
contraddittorio. C’è qualcosa che non funziona nel training , nella formazione, e a questo punto c’è
qualcosa che non va nell’intendere la psicoanalisi stessa. E’ chiaro che un modello tanto
aristocratico ed elitario è tanto lontano da noi che neppure più si pone come elemento di paragone, è
al di là del muro.
A questo punto, potremmo risolvere il problema in modo piacevolmente radicale. Visto che per loro
è così importante proteggere l’oro dell’analisi dal rame della psicoterapia, mentre noi siamo dentro
fino al collo nel tentativo di trovare delle mediazioni fra le due, lasciamo che loro si occupino di
psicoanalisi, quella con la p maiuscola e noi ci interessiamo del resto. Purtroppo però il discorso si
presenta molto più complicato. Io ho fatto le mie due analisi con loro, anche se poi entrambi gli
analisti ne sono usciti, la mia ferma intenzione era di farne parte e se questo non è successo è perché
il mio analista di allora non è diventato didatta, le mie supervisioni, a parte Benedetti e Muraro, le
ho fatte con loro, leggo la loro rivista. Lo stesso Cremerius, Presidente onorario della nostra scuola,
era un analista dell’IPA. Non posso buttarmi il mio passato alle spalle come se niente fosse.
Paradossalmente, sono più liberi e più autonomi di me i miei allievi che fanno capo a me e che ne
sono sempre stati fuori. Comunque, nessuno di noi e per nessun motivo lascerebbe il monopolio
dell’analisi ad altri. Peraltro sappiamo bene come la più parte dell’attività di questi colleghi è a
carattere psicoterapeutico. Il confronto quindi è tuttora aperto, non si vede come potrebbe essere
altrimenti.
Dovremmo poi parlare delle altre scuole e del rapporto che abbiamo con loro. Sappiamo che sono
ormai in numero smisurato e non si peccherebbe certo di malignità se supponessimo che molte di
loro sono di livello decisamente inferiore al nostro. D’altronde siamo in Italia . Si sono create un
numero spropositato di facoltà di psicologia, gli psicologi sono tantissimi e bisogna trovare loro,
prima un parcheggio, le Scuole, e poi un’occupazione. La prima cosa da dire è che è un bene che
noi ci siamo. Chi voglia lavorare come psicoterapeuta deve specializzarsi, lo sappiamo. Se dunque
non ci fossimo, le nuove leve si orienterebbero di necessità verso scuole di altri indirizzi e sarebbe
un disastro. Saremmo circondati di terapeuti cognitivisti, ghestaltisti, neurolinguisti ecc. La seconda
è che dobbiamo aggrapparci alle nostra identità, alle nostre radici culturali per non farci confondere
e travolgere. Si discute ad es. se dobbiamo tenere ferma la clausola che per entrare è necessario che
l’allievo abbia iniziato un’analisi personale. Al di là di considerazioni anche condivisibili non
dovremmo cedere su questo punto, ma abbiamo trovato un compromesso, l’allievo l’inizierà entro il
biennio.
La terza è la più ovvia ed è che il numero degli psicoterapeuti, al di là dei singoli indirizzi, è
cresciuto e continua a crescere in tutta Italia al rimo di centinaia e centinaia ogni anno. Questo ci dà
la misura di quanto il mondo attorno a noi sia cambiato e stia cambiando, sembra di assistere
all’avanzata di un esercito che continua ad ingrossarsi alla ricerca di nuovi spazi da occupare.
Pensate che quando mi sono laureato non avevo neppure dato l’esame di Psichiatria perché la
Psichiatria era una materia facoltativa e che tuttora le scuole mediche – tradizionali, licenziano
pochissimi specializzandi. Ad es. la Scuola di specializzazione in Psichiatria a Parma conferisce 6
diplomi l’anno. Laddove solo la nostra scuola ne attribuisce 60 . Siamo di fronte ad eventi di grande
complessità che rappresentano una novità assoluta, di stampo prettamente italiano, che andrebbero
studiati con la più grande attenzione. Ovviamente cambia il rapporto domanda offerta, nel senso che
la seconda è sempre più sovrabbondante. Il fenomeno però è soprattutto interessante per le sue
conseguenze sul piano culturale e sociale. La psicologia è ovunque, nelle scuole, nel mondo del
lavoro a tutti livelli, nello sport, nei tribunali, nelle diatribe condominiali ecc. e purtroppo presso i
mass media. Potremmo rallegrarci, è più che positivo che ci si interroghi sulle motivazioni di tanti
comportamenti sia a livello individuale che di gruppo. Più la psicologia prende spazio più prende
potere. Il rischio però è quello della banalizzazione, della massificazione, e per quanto ci riguarda,
del declassamento dello specifico del nostro messaggio a chiacchiera da salotto, e delle nostre
terapie a un fenomeno di moda. Non ci è per nulla facile salvarci ribadendo la dignità della nostra
tradizione scientifica perché la analisi non fa parte delle discipline mediche e viene letta come una
branca della psicologia. Ma io, per dire, mi definisco psichiatra.
Temi così complessi andrebbero capiti meglio. A mio parere le varie scuole potrebbero impegnarsi
di più in questo senso . Da tempo sto pensando se non sarebbe il caso di un confronto con tutte loro.
Non dobbiamo fare di tutte le erbe un fascio,alcune di loro sono di ottimo livello. Non abbiamo
rapporti con nessuna a livello ufficiale. Io ho avuto modo di conoscerne parecchie, e già allora al di
là della simpatia o meno sul piano personale, non si sapeva di che cosa parlare. Forse non si voleva
dare informazioni al nemico,perché era evidente una certa competizione. Sarebbe auspicabile, per
non dire doveroso, uno scambio e una riflessione comune. Va rilevato che le scuole che tengono
l’atteggiamento più riservato, per non dire più spocchioso, sono purtroppo proprio quelle a indirizzo
psicodinamico. Comunque, al momento siamo impotenti di fronte a eventi del genere, anzi, li
alimentiamo noi stessi. Ci si chiedeva se la formazione risponda alla domanda del pt di oggi? Per
rispondere dobbiamo prima chiederci chi è il pt che oggi ci chiede un aiuto? Per rispondere faccio
per prima cosa riferimento ad uno scritto di Petrella. Petrella descrive il Sé macchinale, il corpo
protesico, i tratti perversi, la disseminazione di nuclei psicotici ecc, e arriva a conclusioni
inquietanti. Vi leggo, se ho ben capito, – si è sul punto di affermare che la analisi come pratica
clinica è prossima al crepuscolo. Se il trattamento consiste nella messa in crisi e nell’elaborazione di
una struttura siamo impotenti, non abbiamo strumenti se la stessa manca. Lo psicoanalista fa l’abito
ma la stoffa la mette il pt. Insomma sta venendo a mancare il pt per l’analisi. Forse non resta che
scavare una fossa, metterci dentro tutto quanto sappiamo e sopra lo scritto “qui è morto l’Edipo”,
anno 2007 -. Siamo d’accordo? Io ricevo con interesse queste suggestioni, ma trovo che il tono sia
apocalittico. Sono davvero così cambiati i pt che trattiamo oggi rispetto a qualche decennio fa?
Ricordo quando ho incominciato a lavorare in Guardia Psichiatrica prima nel 68. Mi sembrava che
la città fosse impazzita. Vedevo ogni giorno una media di almeno mezza dozzina di TS, crisi
psicotiche, bouffée deliranti, tossicomani di tutti i tipi, esplosioni di impulsività e di violenza, folli
ubriacature. La mia prima pt privata, me la aveva inviata la Dusi, un caso che non scorderò mai, è
stato quello di una pt lesbica tradita dall’amante e ricoverata in casa di cura perché rifiutava il cibo.
Era una donna dolcissima, meravigliosa, che molto correttamente come prima battuta, mi aveva
messo sull’avviso che aveva piacere di dialogare con me, ma che comunque se l’amante non fosse
tornata da lei si sarebbe uccisa .Cosa che avvenne puntualmente nel corso delle vacanze estive. Io
mi chiedo, quando mai abbiamo lavorato con pt così ben strutturati “come sarebbe richiesto” ? Ce
lo diceva gia Cremerius: mai visto in studio il nevrotico che si voleva vedere. Io ho avuto a che fare
con borderline, psicosomatici, personalità narcisistiche, veramente molte, schizoidi e ricordo con
terrore il trattamento delle cosiddette facili nevrosi isteriche, fobiche e ossessive. Già allora la sfida
era con i nuclei psicotici disseminati in ogni tipo di patologia, quella isterica inclusa. Il bastione dei
Baranger a significare una chiusura autistica che impedisce la relazione, è dei primi anni 60, così
come le disquisizioni di Rosenfeld sul narcisismo onnipotente e, poco più tardi, quelle sul
narcisismo di morte di Green. E poi , tagliamo la testa al toro, Freud parlava di Thanatos nel 20. Era
un classico partire dalla rimozione per arrivare ai meccanismi di difesa più arcaici, in primis
l’identificazione con l’aggressore. Dunque la psicoanalisi ha sempre avuto a che fare con pt gravi,
anche se si poteva puntare su una struttura egoica che nel complesso teneva, il pt per l’analisi è
un’astrazione.
Vedete quanto sono e rimango un analista. In fondo mi tiro la zappa sui piedi perché sarebbe più
conveniente prendere per buone le riflessioni di Petrella così da arrivare a dirci che l’unica terapia
possibile a questo punto è proprio quella che proponiamo noi, la psicoterapia analitica.
Può essere che Petrella veda lontano che le sue considerazioni abbiano un valore profetico. Mi
permetto una digressione a carattere sociologico, d’altra parte il discorso che sto facendo è zeppo di
riflessioni a questo livello. Vedete come ho appena lasciato un tema di altissimo interesse sul piano
teorico. Questi testi dal titolo molto significativo comprendono vari scritti che tendono a rimarcare
gli effetti patogeni sulla persona del cosiddetto post modernismo. Io mi permetto di avere qualche
dubbio E’ così cambiato il mondo? Il lavoro di David Riesman sulla dissoluzione del nucleo
familiare e sull’individuo eterodiretto è degli anni 50. Ed è tanto peggio questa società senza padri?
Era meglio allora quando c’era il fascismo ed hanno messo un fucile sulla spalla di mio padre e lo
hanno mandato in Francia a combattere, e poi pure in Russia? Quando i bambini stavano con le
braccia in seconda e il maestro ti dava delle bacchettate sulle dita?
Torniamo ai pt. Forse si accorgono di più dei cambiamenti quelli che lavorano con gli adolescenti.
Sento dire che sono un disastro. Non sono contenuti, sono ipereccitati, impulsivi, violenti, già dei
caratteropatici; e che non si sa che fare visto che dalla famiglia alla scuola non c’è nessuno che si
prenda davvero cura di loro. Mi viene da obiettare che l’adolescenza ha sempre fatto scandalo e
anche ai miei tempi in quanto a comportamenti sociopatici non si scherzava affatto. Sono
decisamente aumentati i pt con problematiche narcisistiche. Andrei però cauto nel segnalare una
così marcata differenza rispetto a prima, in quanto dopo Rosenfeld e Kohut siamo più avvertiti
rispetto a queste tematiche. Mi ha colpito la sensibilità che il gruppo a Scuola ha mostrato per le
problematiche legate all’autostima nel corso della discussione sul caso della Docente Maggioni
durante il gruppo proposto da Lingiardi per sperimentare lo SWAP, mentre per me si trattava in
grandissima parte di difficoltà di controllo.
Come vedete cerco di rimanere con i piedi per terra, e l’unico modo è quello di rifarmi a ciò che
osservo nella mia pratica di clinico e di formatore. La novità che mi pare di notare è l’aumento
esponenziale di quei pt che io definisco del tipo “mordi e fuggi”. Vengono con una richiesta di
aiuto, ma è sottinteso fin dall’inizio che tutto vogliono tranne che di farsi davvero curare. Hanno già
sperimentato varie terapie: farmaci psichiatrici a iosa, varie psicoterapie non si sa bene con chi e
magari già in età scolare o in adolescenza e dopo qualche colloquio si sa già che tenteranno da
un’altra parte, magari si iscrivono a una palestra o a un beauty center. Io mi interesso del caso con
un atteggiamento che definisco “da turista”. Sono dei consumatori di terapia, che cambiano
continuamente negozio, sempre in bilico fra bisogni di dipendenza e autonomia. Per loro non c’è
l’indicazione al trattamento analitico. Se si prova a suggerirlo non capiscono o si mettono a ridere o
si offendono. Direi che manca loro la base culturale per accedere al nostro punto di vista, più che i
quattrini o il tempo. Un tempo tendevo a svalutarli e con loro me stesso. Mi interessavo senz’altro
del caso, ma con l’atteggiamento del turista, che è giusto lì per dare un’occhiata. Con il tempo però
ho cambiato idea, perché tendono a tornare oppure molto spesso mandano altri pt. Che riferiscono
che sono stato caldamente raccomandato da loro, segno evidente che si sono trovati bene con me.
Credo che il mio merito sia soprattutto di ascoltarli senza dare risposte, un po’ perché non ci sono e
poi perché non le vogliono. Così si sentono capiti. Questo può essere un terreno fertile per i nostri
allievi che non peccano certo in sensibilità e in capacità di ascolto.
Intendiamoci, succedeva anche prima, ma molto di meno. Può essere che proprio qui si annidano le
nuove patologie sostanzialmente incurabili di cui parla Petrella, gente che non intende promuovere
in se stessa un cammino di autonomizzazione, ma che preferisce alimentare un’immagine di pseudo
emancipazione, che la rimanda sempre ad un oggetto esterno che sempre tale deve rimanere ed
intercambiabile, da cui dipendere concretamente ( mai sul registro simbolico ). Difficile comunque
tratteggiare la gravità di questa patologia; spesso l’analisi sembra accanirsi verso atteggiamenti che
secondo il senso comune sono normali.
L’altra considerazione, e qui scopre l’acqua calda, è che vengono sempre di più a mancare i pt da
mettere sul lettino. Io me la cavo ancora, perché faccio qualche analisi cosiddetta didattica, ma resta
il fatto che ho giusto due pt a tre sedute, e che chiamo ormai analisi quelle che si sono sempre
chiamate psicoterapie, cioè i trattamenti a due sedute. I motivi sono infiniti. Sta accadendo in Italia
quello che accadeva gia 30 anni fa in Inghilterra ( me ne aveva parlato allora Brenman )e negli Stati
Uniti (a Yale l’analista che ci aveva ospitato dopo il congresso aveva un solo pt in analisi). Non ci
sono soldi, manca il tempo, o forse, come diceva Petrella, si tratta di un compito troppo
impegnativo per l’uomo di oggi. Un altro motivo è che la psicoanalisi come pratica clinica non si è
fatta certo una buona pubblicità. I risultati sono troppo spesso scadenti o comunque ben lontani
dalle aspettative iniziali o di troppo poco conto in paragone al grande impegno in termini di tempo e
di quattrini che comporta. Io vado sempre a cercare nella letteratura delle esemplificazioni cliniche.
In fondo non mi interessa quello che si dice, ma quello che si fa e trovo continue conferme di questa
mia opinione. Vi invito a leggere questi casi, davvero esemplificativi del basso livello del
trattamento.
Cosa succede se le sedute si diradano. La mia esperienza è che è comunque possibile un lavoro a
largo raggio che voglia incidere in profondità sulla struttura del pt, ma ci vuole più tempo. Questo è
intuitivo, ma mi sembra nella mia pratica di poterlo dimostrare. Due esempi a proposito di due
terapie che sto terminando. La pt. era molto depressa, si era defenestrata. Le ho dato farmaci, ho
evitato il ricovero. Si è risposata, due figli. Dopo anni risono ritrovato a lavorare con un’isterica ,
ma il problema principale riguardava l’ansia di separazione e l’aggressività repressa. Credo di
avere portato a termine un’analisi approfondita e soddisfacente a una seduta , ma il trattamento è
durato 22 anni. Se calcoliamo circa 35 sedute l’anno il conto è di 700 sedute complessive. Lo stesso
per una terapia sul finire a una seduta i primi due anni e poi a due sul lettino. Anche qui la pt. si è
sposata, ha avuto aborti e poi un figlio(se si segue il pt. per molto tempo ci si confronta con quanto
gli accade nella sua vita), pesanti lutti ecc .Sono soddisfatto del lavoro e dei risultati, ma la terapia è
durata 10 anni . Anche qui se si fa il conto ci avviciniamo alle 600 sedute.
Non entro nel merito sul piano tecnico della psicoanalisi soft o della psicoterapia. Delle varie
considerazioni che avrei da fare mi limito a due . La prima è che non si può trattare una nevrosi
caratteriale a una seduta settimanale . Si può tentare come nel caso che vi ho proposto, ma solo nel
caso che proprio non ve siano le condizioni materiali per un trattamento più intensivo. Si fa un
cattivo servizio alla psicoanalisi e al pt. La seconda, a carattere più generale, è che non parliamo a
sufficienza di questi temi. Nelle occasioni ufficiali, congressi ecc ci confrontiamo al più alto livello
possibile sull’indirizzo teorico, su programmi di studio e di ricerca, e questo è giusto, ma così
rischiamo di cadere nello stesso errore della SPI, cioè di infilarci un cannocchiale e vedere le cose
che stanno più lontane e non guardare quelle che ci stanno a un palmo di naso e cioè che tanto ci
confortiamo del nostro sapere quanto ci viene a mancare la opportunità di applicarlo. La situazione
di mercato inoltre ha dei ritorni imponenti a livello di tecnica, vedi il Cavalli. Sembra incredibile a
distanza di tempo. E’ cambiato tutto, proprio il modo di intendere il trattamento, ma badate il
cambiamento non deriva tanto da una riflessione, ma è in conseguenza del dato spicciolo, quanto
mai concreto che certi pt. non esistono più. Le differenze rispetto ad allora sono davvero tante. Ad
es. E’ più complicato evidenziare le ansie di separazione perché il pt avverte molto meno il
distacco di un analista che già vede poco, la gestione del lato frustrante del trattamento legato alla
neutralità e all’astinenza, cambia, perchè un setting a tre sedute è ovviamente di per sé molto più
contenitivo, diventa di importanza essenziale la gestione del lettino, si diventa più attivi, ci si trova
ad inventare ecc.
Piuttosto, visto che abbiamo incominciato a parlarne rimettiamo il dito nella piaga. Mancano i pt.
Addirittura anche per la famosa seduta settimanale. Me ne accorgo io in particolare, sono molto
sensibile rispetto a questo problema, perchè i nostri allievi ce ne parlano continuamente
risvegliando in me un senso di frustrazione ed impotenza e di preoccupazione per il loro futuro. Va
detto però che ormai questa difficoltà è avvertita da tutti , anche da parte di vecchi analisti più che
accreditati. Non c’è lavoro tout court. Anche in questo caso i motivi sono infiniti. Siamo in troppi,
l’abbiamo già detto, le altre psicoterapie sembrano più efficaci per trattare il sintomo, la
psicofarmacologia ha fatto passi da gigante. Un altro punto è che siamo troppo timidi o riservati,
non ci facciamo conoscere come se rimanendo defilati confermassimo la nostra specificità.
Tutto ciò cambia profondamente l’assetto relazionale. Quanto abbiamo riflettuto sulla dinamica del
potere in analisi! adesso ormai è l’analista privo della famosa lista di attesa e quindi privo di potere
ad avere bisogno del pt. Potremmo poi interrogarci se non si può fare qualcosa concretamente.
Tempo fa volevo che ci si impegnasse in una nuova iniziativa . L’idea è che nascesse una
cooperativa formata dagli allievi e che si facesse una struttura ambulatoriale aperta all’esterno con il
patrocinio della Scuola. L’idea la sta portando avanti il mio collega Maschietto, segretario
scientifico della Scuola. Non dimenticate che si fa cultura non solo pensando e scrivendo, ma anche
attraverso l’azione inventando nuovi spazi di intervento.
Penso di avere finito. Ho concluso sottolineando due aspetti problematici cui dovremmo cercare di
dare risposta: un certo ritardo nell’elaborazione dei cambiamenti cui il trattamento analitico è
andato incontro e la continua, lenta erosione della nostra figura professionale. Ho toccato temi che
non mi sono affatto congeniali. Ma l’analista deve interrogarsi sul mondo che si trova attorno,
abbiamo lo straordinario esempio del Freud di L’avvenire di una illusione e del Disagio della civiltà
e soprattutto noi che operiamo in una istituzione che ha, essa stessa, una rilevanza sociale e che da
un lato non può non risentire dei cambiamenti che accadono nel sociale e dall’altro è essa stessa a
determinarli. Siamo soggetti a esigenze contrastanti , cambiare al passo dei tempi e rimanere fedeli
a noi stessi; fare analisi e fare psicoterapia. Dovremmo quindi cercare di essere il più lucidi
possibile rispetto a quanto stiamo facendo.